La sveglia suona alle 6:30 ed il primo pensiero è: “dove diamine devo andare oggi per svegliarmi a quest’ora?”, come se le 6:30 fosse veramente presto, ma il sonno arretrato inizia a farsi sentire. Ci metto qualche secondo a ricordarmi che oggi andrò a scalare con Marco. Mi consolo perchè durante il viaggio anche lui mi dirà che gli è successa la stessa cosa. La direzione è la Valle dell’Adige e la via Te lo do io il Verdon: un nome un programma! Risalita la ripida boscaglia infestata di zecche, superiamo gli attacchi delle vie di placca e seguiamo una cengia al cui termine si trova la nostra via. Ci prepariamo e tocca a Marco partire. Dalle pareti soprastanti è un continuo stillicidio e il vento disperde le gocce d’acqua ovunque in un costante gioco di palline luccicanti che precipitano dall’alto. Appena tocco la roccia e sento quanto è bella, mi sembra di entrare in un mondo parallelo ed iniziano le danze. Il primo tiro supera un piccolo strapiombo e poi prosegue facilmente su roccia a gocce lavoratissima dall’acqua. Nel secondo tiro in diedro ci divertiamo, soprattutto sul primo passo strapiombante con le prese obbligate completamente zuppe d’acqua…mettere bene i piedi e stringere! Il terzo tiro è a mio parere il più estetico, in traverso ascendente sotto ad un grande tetto. Ci si alza dalla sosta prendendo subito una fessura rovescia che va seguita interamente; i piedi, anche se all’inizio un po’ aleatori, ci sono tutti! L’uscita è fisica in dulfer, poi bisogna stringere qualche buco prima di arrivare alla sosta. Segue il quarto tiro, il chiave, dove l’arrampicata cambia: la roccia diventa calcare dei migliori e lo stile è più di placca. Il chiave più che difficile è strano, non sono abile ad accoppiare una tacca e non mi riesce […]