Con la coda dell'occhio guardo giù, il friendino grigio è abbastanza distante ma manca poco al resinato. Subito dopo la rampa si fa fessura superficiale e un chiodo protegge il passaggio dato di VI-.
Ci arrivo e si muove di brutto.
Il torrente scroscia giù nel fondovalle.
Ci vorrebbe il martello che non ho, quindi avanzo con cautela e subito dopo piazzo un brutto totem verde. Brutto perchè la fessura è superficiale e si allarga.
Adesso bisogna traversare a destra con un passo di aderenza e equilibrio... le sensazioni carniche.
Quindi cerco e trovo molto alta una possibilità per un buon totem giallo, così il passaggio è ben protetto e il tiro fila liscio fino alla sosta.
Era proprio questo che cercavo, quel gioco del proteggersi che con gli spit manca e quando si va da soli assume un valore primario.
Le solitarie sono totalizzanti, vuoi per l'immersione nella parete, vuoi per la dimensione mentale che si raggiunge.
Effettivamente la ripetitività del gesto e la concentrazione portano ad alterazioni nello stato mentale, una specie di rituale che si ripete tiro dopo tiro e che scandisce la salita.
Una cosa bella delle solitarie con la corda è che fai la via due volte, forse anche per questo le sensazioni sono amplificate.
La ripartenza è su roccia un po' instabile e poi inizia una fessura più o meno larga che fondamentalmente si segue per una settantina di metri, poi un breve tratto verticale porta su calcare appoggiato di prima qualità. Sull'ultimo tiro ci sono tre resinati, però la placca non è pensabile autoassicurato, così ne rinvio due e poi seguo le spaccature della roccia che incredibilmente non si esauriscono e pian piano mi conducono verso l'alto.
Mi ritrovo in sosta.
Sotto di me la via.
Il torrente non ha mai modificato la sua voce.
Mi giro a guardare la valle, pensando di stare lì a contemplare il panorama ma non ci riesco; il pensiero è alla discesa, così con qualche doppia sono giù.
Ormai il Sole sta girando, mi godo gli ultimi raggi e poi mi incammino verso il furgone.